Il francescano Vittorio Trani, da 35 anni cappellano di Regina Coeli: “La prima priorità è ridurre il numero dei detenuti, per consentire una gestione che altrimenti finisce per essere compromessa. La pena detentiva da scontare dietro le sbarre andrebbe riservata a reati molto gravi”. Finalmente i braccialetti elettronici. Il garante? “Speriamo che non diventi un mero ufficio burocratico”
Carceri meno sovraffollate, con l’adozione di misure alternative quando possibile – tra cui l’uso dei braccialetti elettronici -, e un garante nazionale dei diritti delle persone detenute. Parte da questi presupposti il decreto legge varato ieri dal Consiglio dei ministri, che entro 60 giorni dovrà essere approvato da entrambi i rami del Parlamento se si vuol dare un futuro a queste misure. Al riguardo il Sir ha interpellato il francescano padre Vittorio Trani, da 35 anni cappellano del carcere romano di Regina Coeli. “Speriamo che questo decreto venga tramutato in una linea fatta di scelte concrete e condivise”, esordisce Trani, convinto che “se il carcere funziona a trarne beneficio è tutta la società”.
Qual è, a suo avviso, l’emergenza maggiore all’interno del carcere?
“La prima priorità è ridurre il numero dei detenuti, per consentire una gestione che altrimenti finisce per essere compromessa. La pena detentiva da scontare dietro le sbarre andrebbe riservata ai reati molto gravi. Per il resto bisogna essere capaci di utilizzare quegli strumenti che già la legge prevede in alternativa alla detenzione: ad esempio i tossicodipendenti potrebbero andare in strutture che possano aiutare, invece di finire dietro le sbarre. L’uso ‘leggero’ della carcerazione appesantisce terribilmente e fa vivere drammi alle persone”.
Dal suo osservatorio, qual è l’identikit del detenuto? La carcerazione è effettivamente commisurata alla gravità del reato?
“Direi che rischia di più la persona meno protetta in termini di visibilità, risorse, sostegno. In una vicenda giudiziaria chi si può permettere una buona assistenza legale magari si trova più avvantaggiato… Chi ha meno risorse dal punto di vista economico, oppure è privo di sostegno – come tanti ragazzi che finiscono in carcere senza avere nessuno che li aiuti – è senz’altro la parte debole di questo sistema, che non ha attenzione per la persona”.
Fra gli strumenti menzionati nel decreto legge vi è il braccialetto elettronico. È uno strumento utile, che potrà veramente trovare applicazione?
“Forse finalmente si smetterà di buttare via soldi: da anni, infatti, si pagano milioni di euro a Telecom per un accordo sottoscritto proprio per l’utilizzo dei braccialetti elettronici, e poi non li si usano”.
Perché finora è stata una risorsa pagata ma non utilizzata?
“C’è un meccanismo farraginoso per farvi ricorso, con tutta una serie di adempimenti che finisce per scoraggiarne l’uso. Bisogna snellire le prassi. È una questione di burocrazia, ma pure di mentalità: il braccialetto elettronico non è entrato nella nostra cultura, ci sono resistenze a tutti i livelli”.
Poc’anzi parlava dei tossicodipendenti. Il decreto prevede per loro l’affido terapeutico in comunità di recupero…
“Bisogna porsi in un atteggiamento diverso: il tossicodipendente ha perso la sua capacità di autodeterminarsi, si trova in balia di queste sostanze, va aiutato. Per cui, oltre a punire il reato, bisogna individuare la soluzione più idonea per ‘liberare’ questa persona dal dominio delle droghe. In questi casi il grande problema è la situazione complessiva che il reato compiuto rivela. Penso quindi che la comunità sia una risposta che va nella giusta direzione: il carcere non educa e non aiuta”.
Il decreto legge prevede tra l’altro l’istituzione di un garante dei detenuti. È effettivamente necessario e quale può essere la sua funzione?
“Se le strutture funzionano sono positive, ma se si appiattiscono finiscono per essere doppioni di altre realtà già presenti. Servono buon senso e responsabilità: il garante in un certo modo s’inserisce per supplire la non funzionalità del giudice di sorveglianza. Plaudo al fatto che ci sia gente pronta a prendere sul serio queste tematiche e speriamo che non diventi un mero ufficio burocratico, senza la necessaria funzionalità per aiutare le carceri”.
Dal SIR a cura di Francesco Rossi