Mi chiamo Marco Massimi, lavoro dal 1990 “contro” le dipendenze, ma preferisco dire “per” l’essere umano, per facilitare un processo di realizzazione verso una dimensione che già in potenza esiste dentro ognuno di noi, e non per una liberazione “da” qualcosa che limita, che opprime, che nega.
Il credere nell’e-ducere ci indica proprio questo: non posso portare alla luce nulla che non esista. Ciò non significa che l’uomo non abbia bisogno di regole e divieti, e permessi, o meglio che non si sia messo nel tempo in condizione di “doversi” ad essi sottoporre: siamo imperfetti per definizione, e facciamo errori, a volte anche molto gravi.
Ma credo che ridurre la questione del rischio di dipendenza da sostanze psicoattive ad una o più leggi che di volta in volta intendano vietarne l’uso, o regolamentarlo, o liberalizzarlo equivalga a ridurre la complessità, e non ci avvicina alla realtà delle questioni umane, anzi.
Le leggi vengono fatte per vari motivi: per difendere la salute, i diritti, i beni. Ma sono anche capsule del tempo pedagogico, irrigidiscono le nostre potenzialità, quei semi che solo in una terra fertile, sana e ben idratata possono germogliare, crescere e fruttificare. Le regole, anche quelle più strette, sanno di certo disciplinare i comportamenti, ridurre i rischi, creare addirittura più ricchezza, ma non chiedono all’essere umano di pensare se stesso nel darsi i propri limiti, insomma non lo realizzano appieno nella libertà di non essere libero.
Ad esempio quanti di noi nella “gabbia” dell’unione affettiva stabile, che alcuni chiamano ad esempio matrimonio, nell’avere figli e crescerli con sacrificio, nel curarsi da una più o meno semplice malattia si sentono più partecipi e realizzati?
Il limite autoimposto, potremmo addirittura dire “autoelargito”, è parte integrante della nostra libertà attiva, e non c’entra nulla un’idea povera e punitiva del termine “sacrificio”. La parola infatti ci parla del “fare sacro”, delle nostre azioni concrete che diventano spirito, e ci conducono con esse verso livelli più interessanti, significativi, durevoli.
Penso a Falcone e Borsellino, uomini di legge, certo, ma consapevoli che, da uomini edotti ed educenti, non avevano in realtà altra scelta che continuare sulla strada che poi li ha portati al tritolo. Alla morte dei loro corpi, ma non ad altro.
E la parola “eroi” non basta per sistemare queste persone e queste scelte in un “inutile” libro di storia.
Ecco per chi dobbiamo tifare: per la possibilità che ognuno ha di diventare “eroe” per sé e per gli altri, darsi una regola che lo migliori, che lo riconduca all’essenza splendida che porta dentro di sé, perché essa rischia di farsi limitare dalle comprensibili ed accettabili bruttezze, tra le quali il bisogno che altri dirigano la nostra vita, l’irresponsabilità.
Ed allora non me la sento di ridurre ad un semplice sì o no la mia libertà, né tanto meno quella di giovani che la loro essenza debbono e possono cercare. Al solito ci accorgiamo che non sono tanto importanti le risposte quanto le domande, anche quando debbano per un tempo restare aperte.
Marco Massimi
Allora, credo sia importante aggiungere qualcosa.
Ieri, attraverso uno scambio con chi ne sa più di me di diritto e giurisprudenza, mi sono reso conto di aver dato una visone molto povera e superficiale della funzione delle leggi, che deriva non tanto dalla fretta di scrivere o dalla disattenzione, quanto evidentemente da una mia forma di ignoranza (o di non-riflessione) rispetto al collegamento tra pedagogia e diritto, e libertà. Ho lasciato intendere di interpretare la legge come un bavaglio, e non credo sia così, come un qualcosa che tarpa le ali alla libertà dell’individuo e della società. Io stesso credo nelle norme, e credo che esse facciamo parte integrante dell’evoluzione umana. Insomma non volevo parlare di leggi e l’ho fatto comunque. L’autodeterminazione, citata da Orietta, non è qualcosa che litiga con il diritto, anzi.
Tra l’altro dove solo in un ambiente saggiamente e giustamente regolamentato l’essere umano può coltivare la propria libertà ed incontrare quella altrui, e farle convivere.
Ecco, mi sembrava giusto spiegare meglio un pensiero grossolanamente povero, o perlomeno reso in tale maniera.