Assai sconcertati e poco sorpresi. «Due persone muoiono in un sottopassaggio mentre sopra, a via Veneto, ci sono i tavolini per i brindisi e le feste», sottolinea monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas capitolina, al Sir: «È un fatto emblematico, chi sta sopra non si rende conto di cosa succede sotto». Ed è proprio questo «il dramma più grande: non aprire gli occhi davanti alle situazioni di difficoltà in cui vivono tantissime persone a Roma».
Così Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Acli di Roma, Ceis, l’Unitalsi romana e il Bancofarmaceutico-Roma chiedono «un censimento di tutti i luoghi di povertà nascosta, dai sottopassaggi, ai sotto ponte fino alle gallerie in disuso», per individuare velocemente le emergenze e «intervenire preventivamente con la distribuzione di coperte e pasti caldi». Il loro appello è rivolto a chiunque: «A tutta la società civile e alle istituzioni» per collaborare a fare una mappa dei luoghi, sempre più numerosi, che offrono riparo a queste persone».
Allora adesso «anche i cittadini possono segnalare ai nostri numeri ogni “situazione limite”» – sottolineano le associazioni cattoliche –, sia attraverso il numero verde dell’Unitalsi (800.062.026) e quello del Bancofarmaceutico (800.587.793), che contattando le sedi Acli di Roma e del Ceis (i cui siti internet sono www.acliroma.it e www.ceisroma.it).
Nella capitale – secondo la Caritas diocesana – dormono in rifugi di fortuna almeno 5/6mila persone. Durante l’inverno i posti letto a disposizione sono 2.800 (la metà gestita da parrocchie, enti benefici, volontari). L’indifferenza dunque uccide: «Non ce n’è sulla singola situazione, ma in generale – annota ancora monsignor Feroci –. È come se la presenza dei clochard fosse accettata come strutturale». E i sottopassi da tanti anni «sono diventati i ricoveri per gli “uomini randagi”, brutta espressione ma che purtroppo è la percezione della gente». Colpa anche dell’emergenza freddo, che però «dimostra una carenza di lungimiranza, perché ogni anno è normale che ci sia il freddo e il caldo. Una società dovrebbe essere capace di prevedere queste difficoltà».
Inevitabile polemica politica a parte, l’allarme è alto. «Non è pensabile che nel 2013 ci sia ancora gente abbandonata a se stessa. Sebbene le persone che vivono sulla strada siano in aumento, le istituzioni invece di incrementare gli aiuti le lasciano sempre più sole», dunque «è normale che si verifichino tragedie del genere», annota Wainer Molteni, fondatore del sindacato dei senza fissa dimora “Clochard alla riscossa”. Secondo il quale il primo problema da risolvere è quello dei documenti di identità: «Senza questi, infatti, i senzatetto, qualora riescano a trovare un lavoro, non possono essere assunti in regola», visto che se un italiano finisce sulla strada «la sua residenza viene congelata e, una volta scaduta la sua carta di identità, non può più rinnovarla», va avanti Molteni. Perdendo così «ogni diritto, da quello di voto all’assistenza sanitaria, fino al diritto al lavoro. I senzatetto sono clandestini nel loro stesso Paese».
Stavolta, oltre alla tragedie di non avere una dimora e morire in quel modo, c’è poi un altro aspetto drammatico: «Sapere che nel rogo abbiano perso la vita persone in fuga da un Paese in guerra e con alle spalle un viaggio molto rischioso è inoltre un paradosso tragico e ingiustificabile», dice il presidente del Centro Astalli, padre Giovanni La Manna. E «le circostanze inaudite in cui è avvenuta la tragedia siano per tutti un grido di disperazione di un Paese che si trova a fare i conti con un sistema di accoglienza con gravi problemi in termini di efficienza».
Non a caso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) esprime cordoglio per la morte dei due somali. Facendo sapere come «solo a Roma si stima siano oltre 1.700 i richiedenti asilo e rifugiati, incluse famiglie con minori, che vivono in situazione di grave emarginazione sociale», col risultato che «sono in aumento gli insediamenti spontanei e le occupazioni di edifici abbandonati». Perciò l’Unhcr – in una nota – si augura che «le autorità diano una risposta che permetta di affrontare in maniera più adeguata i problemi relativi all’assistenza ed all’integrazione», garantendo ai beneficiari di protezione internazionale «l’effettivo godimento dei loro diritti».
Così Caritas, Comunità di Sant’Egidio, Acli di Roma, Ceis, l’Unitalsi romana e il Bancofarmaceutico-Roma chiedono «un censimento di tutti i luoghi di povertà nascosta, dai sottopassaggi, ai sotto ponte fino alle gallerie in disuso», per individuare velocemente le emergenze e «intervenire preventivamente con la distribuzione di coperte e pasti caldi». Il loro appello è rivolto a chiunque: «A tutta la società civile e alle istituzioni» per collaborare a fare una mappa dei luoghi, sempre più numerosi, che offrono riparo a queste persone».
Allora adesso «anche i cittadini possono segnalare ai nostri numeri ogni “situazione limite”» – sottolineano le associazioni cattoliche –, sia attraverso il numero verde dell’Unitalsi (800.062.026) e quello del Bancofarmaceutico (800.587.793), che contattando le sedi Acli di Roma e del Ceis (i cui siti internet sono www.acliroma.it e www.ceisroma.it).
Nella capitale – secondo la Caritas diocesana – dormono in rifugi di fortuna almeno 5/6mila persone. Durante l’inverno i posti letto a disposizione sono 2.800 (la metà gestita da parrocchie, enti benefici, volontari). L’indifferenza dunque uccide: «Non ce n’è sulla singola situazione, ma in generale – annota ancora monsignor Feroci –. È come se la presenza dei clochard fosse accettata come strutturale». E i sottopassi da tanti anni «sono diventati i ricoveri per gli “uomini randagi”, brutta espressione ma che purtroppo è la percezione della gente». Colpa anche dell’emergenza freddo, che però «dimostra una carenza di lungimiranza, perché ogni anno è normale che ci sia il freddo e il caldo. Una società dovrebbe essere capace di prevedere queste difficoltà».
Inevitabile polemica politica a parte, l’allarme è alto. «Non è pensabile che nel 2013 ci sia ancora gente abbandonata a se stessa. Sebbene le persone che vivono sulla strada siano in aumento, le istituzioni invece di incrementare gli aiuti le lasciano sempre più sole», dunque «è normale che si verifichino tragedie del genere», annota Wainer Molteni, fondatore del sindacato dei senza fissa dimora “Clochard alla riscossa”. Secondo il quale il primo problema da risolvere è quello dei documenti di identità: «Senza questi, infatti, i senzatetto, qualora riescano a trovare un lavoro, non possono essere assunti in regola», visto che se un italiano finisce sulla strada «la sua residenza viene congelata e, una volta scaduta la sua carta di identità, non può più rinnovarla», va avanti Molteni. Perdendo così «ogni diritto, da quello di voto all’assistenza sanitaria, fino al diritto al lavoro. I senzatetto sono clandestini nel loro stesso Paese».
Stavolta, oltre alla tragedie di non avere una dimora e morire in quel modo, c’è poi un altro aspetto drammatico: «Sapere che nel rogo abbiano perso la vita persone in fuga da un Paese in guerra e con alle spalle un viaggio molto rischioso è inoltre un paradosso tragico e ingiustificabile», dice il presidente del Centro Astalli, padre Giovanni La Manna. E «le circostanze inaudite in cui è avvenuta la tragedia siano per tutti un grido di disperazione di un Paese che si trova a fare i conti con un sistema di accoglienza con gravi problemi in termini di efficienza».
Non a caso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) esprime cordoglio per la morte dei due somali. Facendo sapere come «solo a Roma si stima siano oltre 1.700 i richiedenti asilo e rifugiati, incluse famiglie con minori, che vivono in situazione di grave emarginazione sociale», col risultato che «sono in aumento gli insediamenti spontanei e le occupazioni di edifici abbandonati». Perciò l’Unhcr – in una nota – si augura che «le autorità diano una risposta che permetta di affrontare in maniera più adeguata i problemi relativi all’assistenza ed all’integrazione», garantendo ai beneficiari di protezione internazionale «l’effettivo godimento dei loro diritti».
Fonte: Pino Ciociola, www.avvenire.it