Francesca, Simon, Daniele e Simone hanno uno sguardo che esprime tutta la loro soddisfazione per avercela fatta. Sono i ragazzi del CeIS., il Centro italiano di solidarietà fondato, 40 anni fa, da don Mario Picchi per combattere il drammatico fenomeno della tossicodipendenza, che hanno dato vita a “Genesi”, l’opera selezionata dalla giuria del Premio di arte contemporanea “Adrenalina” e ora esposta al Macro di Testaccio – La Pelanda.
L’opera, che avrà questo prestigioso palcoscenico fino al 2 dicembre, usa come supporto un cofano di una Panda reperito in un’autodemolizione, sul quale si è intervenuti con tecniche miste, dalla stampa digitale all’applicazione di vernici e tinte di diversa natura. La presenza all’interno dell’uomo vitruviano vuole essere un omaggio all’icona ispiratrice del “Progetto Uomo“, ideato da don Mario Picchi, che caratterizza la quotidianità e il motore ideale trainante dell’attività terapeutica di ogni singolo autore, l’idea che non esiste un protocollo comune ma che il recupero passi attraverso la rivalutazione dell’Uomo che ognuno porta dentro di sé. D’altro canto le sbarre che si evidenziano in maniera prepotente al centro del lavoro svolto simboleggiano la momentanea e pregressa appartenenza ad un percorso deviante. La frase, scritta in rosso, mette in evidenza un aspetto buio di uno degli autori che simboleggia e denota una ricerca introspettiva ed inquieta e che lascia intravedere la parte della speranza e della luce per il cammino intrapreso. Questo gesto espressivo nasce dall’unione apparentemente casuale di abilità diverse: le diversità, i brevi tempi di concettualizzazione e realizzazione e la limitata disponibilità di mezzi si sono riformulati come occasione per sintetizzare i punti di vista dei singoli sulla propria visione dell’essere uomo, traendo spunto da un archetipo consolidato, quale l’uomo vitruviano.
«Il vissuto quotidiano in comunità terapeutica – spiega il presidente del Ce.I.S., Roberto Mineo, che di don Mario ha raccolto l’eredità – merita forme di intervento flessibili e non necessariamente istituzionalizzate. La difficile e spesso dolorosa opera di introspezione e di messa in contatto con le proprie difficoltà deve trovare una foce adeguatamente ramificata, capace di veicolare in modo autentico le potenzialità espressive dei nostri ragazzi».
L’arte dunque è uno degli elementi fondamentali per indicare un’alternativa alla tossicodipendenza, un modo utile per uscire dal tunnel e per eliminare una delle poche parole che l’opera evidenzia: smarriti.
L’obiettivo insomma è quello di ritrovarsi e cancellare, anche attraverso l’espressività, una pagina buia della propria vita.
Di Giuseppe Pallotta