Intervento di Roberto Mineo e Patrizia Saraceno alla “Giornata in ricordo di padre Juan Viroche…a sei mesi dall’omicidio”
Esprimiamo innanzitutto a nome del Centro Italiano di Solidarietà don Mario Picchi il nostro ringraziamento per l’invito che abbiamo ricevuto.
Noi siamo un’associazione nata più di 45 anni fa oramai. Don Mario Picchi era un prete, probabilmente non molto diverso da Juan Viroche, animato da coraggio e da passione per la verità. Lavorava alla stazione di Roma Termini, ma poi, avendo capito che era in atto una invasione di droga mai vista prima, era l’inizio degli anni ’70, decise di fare di più e meglio.
Don Picchi aprì la sua prima comunità e fondò un modello di intervento “Progetto Uomo” che è diventato uno standard internazionale.
Le Comunità terapeutiche che si ispirano al modello Progetto Uomo sono apparse fin dagli anni 80 in tutto il territorio europeo e nel mondo. In particolare, proprio in America Latina il modello Progetto Uomo forse è quello maggiormente rappresentato. Abbiamo avuto moltissimi colleghi argentini, professionisti, volontari, sacerdoti, sorelle che hanno visitato le nostre comunità e hanno tratto ispirazione per fondare i loro programmi. Alcuni sono anche rimasti a lavorare per un periodo con noi.
Per tornare al tema di questo convegno. Padre Viroche, così come don Picchi, e la loro testimonianza appartengono a noi tutti.
Ma chi sono veramente padre Viroche e don Picchi? Testimoni di giustizia, preti coraggiosi, dei simboli, in qualche modo. Di cosa sono simboli?
Ecco, vorrei associare la loro opera ad una particolare categoria di uomini e donne che il mondo per la verità ha sempre conosciuto, fin dai tempi dell’antichità. Coloro che avevano il dono di “dire la verità senza paura”.
I greci chiamavano queste persone “parrhesiàsti” e la particolare capacità che avevano e che li distingueva in qualche modo da tutti gli altri la chiamavano “parrhesìa”, ovvero: dire il vero senza paura. Loro avevano in mente Socrate ovviamente, ma noi abbiamo in mente Gesù Cristo, forse il più grande parrhesiasta della storia. Chi, più di lui non ebbe paura a dire il vero davanti ai mercanti nel tempio e davanti al giudizio degli uomini?
Padre Viroche e don Mario erano certamente persone, prima che preti, che non avevano paura a dire il vero.
Quale verità è necessario dire con forza ancora? E a chi?
La prima verità la afferma con forza il Santo Padre, quando, nell’intervista ad una piccola rivista di Buenos Aires, “La Carcova News” dice: «Ci sono paesi che ormai sono schiavi della droga. Quello che mi preoccupa di più è il trionfalismo dei trafficanti. Questa gente canta vittoria, sente che ha vinto, che ha trionfato. E questa è una realtà. Ci sono paesi, o zone, in cui tutto è sottomesso alla droga».
La comunità internazionale ha condotto una guerra apparentemente senza quartiere al traffico di droghe, per più di 40 anni. Purtroppo la disponibilità delle droghe è rimasta invariata, anzi è aumentata la disponibilità di nuove e pericolose sostanze, tra cui segnaliamo la “nuova” cannabis e le droghe artificiali. I prezzi non sono aumentati. Spesso utilizzando gli stessi canali, sono emersi altri traffici, quelli di esseri umani ed il traffico di persone utilizzate a scopo di sfruttamento sessuale.
I dati più recenti sul narcotraffico ce li fornisce il rapporto sul Crimine transnazionale e i Paesi in via di sviluppo, pubblicato appena una settimana fa dal Global Financial Integrity, un’organizzazione che a livello mondiale si occupa di ricerca sui flussi finanziari illeciti.
Ebbene, il mercato globale di droga rappresenta circa un terzo del valore totale di tutti i reati di carattere transnazionale. La cannabis detiene la quota maggiore, seguita in ordine di cocaina, oppiacei e stimolanti di tipo anfetaminico.
Anfetamine e cannabis sono prodotte in tutto il mondo, mentre la produzione di cocaina e oppiacei è concentrata in Sud America e in Afghanistan,
Le organizzazioni che promuovono il narcotraffico sono i gruppi della criminalità organizzata, i guerriglieri e le organizzazioni terroristiche.
Le conclusioni del rapporto sostengono che il traffico di droga genera una notevole quantità di violenza, erodendo la stabilità interna e spingono i governi a dedicare maggiori risorse finanziarie per la sicurezza, piuttosto che alla riabilitazione, oppure alla cultura della prevenzione. Le droghe minano la salute pubblica e lo sviluppo. Minano la capacità di un paese di impegnare risorse significative per la sua crescita.
La seconda verità la affermano i nostri stessi ragazzi, ospiti delle comunità. E’ la verità delle emozioni e dei sentimenti che rimangono chiusi dentro per tanto tempo e che alimentano il disagio che sta alla base della dipendenza da sostanze. Le nostre comunità sono costruite sul “dirsi la verità senza paura”. I ragazzi non entrano in un contesto dove la pacca sulla spalle è la regola. Tutt’altro. Invitiamo le persone a tirare fuori la loro verità, quella più scomoda, quella che fa più male.
E’ un allenamento che torna utile nel presente e nel futuro, perché permette di ricostruire relazioni deteriorate e difendere le proprie posizioni ed i diritti di tutti.
La terza verità è che la droga fa male, a tutti, sia a quelli che la assumono, sia a quelli che ci convivono senza crearsi troppi problemi. Sembra una banalità? Purtroppo non lo è. Le tendenze a ridimensionare il fenomeno delle cosiddette “droghe leggere” constrasta con quello che ogni giorno vediamo come osservatori diretti. I giovani soprattutto sono i più vulnerabili e abbiamo il dovere di dire la verità. A chi? Alle istituzioni, nazionali e sovranazionali.
Il nostro ruolo di testimoni di una verità è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite con le quali abbiamo avuto un rapporto di costante vicinanza. Già nel 1985 le Nazioni Unite hanno riconosciuto al Centro Italiano di Solidarietà lo status di “membro consultivo”.
Il nostro lavoro di testimoni è rivolto alle istituzioni nazionali e locali con le quali abbiamo sempre contribuito operativamente, fornendo soluzioni sostenibili per le nostre comunità.
Nei nostri centri i ragazzi e le loro famiglie ricevono sostegno gratuitamente, mentre il sostegno che riceviamo noi dalle amministrazioni nazionali e locali per la nostra opera di riabilitazione e prevenzione è di gran lunga inferiore alle risorse che le stesse amministrazioni dovrebbero impegnare per far fronte ai danni diretti e indiretti della dipendenza da droga.
Tra questi beneifici, sottolineiamo in particolare, l’estromettere i giovani dal circuito del narcotraffico locale, tagliando risorse e capacità criminale alle organizzazioni che combattiamo.
L’ultima verità riguarda l’America latina che abbiamo visto e vissuto con i nostri occhi.
Nel 1987, infatti, abbiamo ottenuto dal Ministero degli Esteri il riconoscimento giuridico necessario per realizzare progetti nei Paesi in via di sviluppo e ci siamo dedicati proprio all’area dell’America Latina con un progetto integrazione socio-sanitaria negli Yungas di La Paz in Bolivia. Abbiamo aiutato la popolazione locale a costruire un Ospedale a Coroico con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione, in un contesto fortemente influenzato dalla produzione e dal traffico di sostanze stupefacenti.
Abbiamo cercato di organizzare meglio la rete locale di supporto con imprese, banche e ha attivato un’attività di fund-raising con il supporto del Ministero della Salute con il quale abbiamo costanti rapporti.
Abbiamo aiutato l’ospedale nell’azione di rete con i ministeri e le autorità locali per sensibilizzarli sulla rilevanza dell’ospedale in funzione del benessere della popolazione locale.
Perché questa è l’ultima verità: le popolazioni dell’america latina devono essere protette dal narco-traffico, fornendo supporto diretto ai bisogni della popolazione.
Lo sviluppo alternativo per la riduzione delle coltivazioni illecite spesso rappresenta una soluzione di medio-lungo periodo, mentre nel breve periodo le persone devono sopravvivere ed avere una prospettiva dignitosa. Anche in quei contesti, non bisogna concentrare gli sforzi esclusivamente sul traffico e sulle sostanze, bensì sulle persone.
Al centro c’è sempre l’uomo, mai la sostanza e forse questa è la verità di cui padre Viroche e don Mario Picchi sono i veri testimoni.
Roberto Mineo e Patrizia Saraceno, presidente e vicepresidente del Centro Italiano di Solidarietà don Mario Picchi