Nella Capitale il trend delle diagnosi di infezione da Hiv è in crescita negli ultimi 4 anni (2010 -2014) con il + 120%. Infatti si è passati dai 503 casi del 2010 agli oltre 1106 casi nel 2014 (nel 2011 sono stati 624, nel 2012 erano 897, nel 2013 erano 1024).
E’ questo uno dei dati che emerge dal dossier realizzato dal Centro Italiano di Solidarietà di don Mario Picchi in occasione della Giornata Mondiale della lotta all’AIDS. La ricerca è stata realizzata nell’ambito del progetto di assistenza domiciliare promosso dal CEIS con il Dipartimento di Promozione dei Servizi Sociali e della Salute di Roma Capitale. Il servizio ha come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita del paziente malato di AIDS non in strutture pubbliche spesso dispersive, ma nell’ambiente familiare della casa. In questo modo si possono valorizzare le risorse sia della persona che del suo contesto di vita, sviluppando percorsi di autonomia, lì dove è possibile, o intervenendo in modo da rendere la quotidianità qualcosa di gestibile combattendo l’emarginazione.
Su un campione di 1106 pazienti con età media di 55 anni, che usufruiscono dell’assistenza domiciliare del CEIS di Don Mario Picchi, si comprende che su 1106 nuovi casi di Hiv a Roma, solo 57 (il 5,17%) sono riconducibili ad uso di droghe, mentre è molto più elevato il numero di contagi legati a rapporti non protetti che raggiunte quota 885 (l’80%). Mentre 164 pazienti (il 14,83%) hanno contratto la malattia per altre forme di contagio. Dato costante è che la trasmissione della malattia dipende soprattutto dall’inconsapevolezza di aver contratto il virus.
Dal dossier emerge che rispetto al passato le persone colpite dalla malattia non sono più solamente quelle riconducibili alla categoria della tossicodipendenza o dell’omosessualità (70% dei casi negli anni ’80), ma è un problema che colpisce l’intera cittadinanza con numerosi casi che hanno coinvolto i giovani.
Esaminando le storie dei pazienti afflitti da Hiv che usufruiscono dell’assistenza domiciliare, si scopre come nel 98% dei casi questi percepiscano una pensione di invalidità, mentre il restante 2% è supportato dai servizi sociali. In tale contesto si riscontrano spesso i problemi di emarginazione sociale più gravi: dall’abbandono da parte della propria famiglia, alla perdita del lavoro e alla fine di una vita sociale piena.
Di questi il 90% è interessato da patologie correlate all’Hiv come tumori, neuropatie compromissioni importanti di organi come i reni, il cuore, gli occhi, il fegato che rendono la qualità della vita molto scarsa abbassando, se non azzerando in alcuni casi, il livello di autonomia nello svolgimento del quotidiano. In tale contesto ci si è resi conto di come sia necessario un nuovo programma di inclusione e sostegno sociale che rimetta al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica una vera e propria epidemia di AIDS.
“Per fronteggiare questa malattia – spiega Roberto Mineo, presidente del CEIS di Don Mario Picchi – non basta più il sostegno del mondo medico scientifico, ma occorre un impegno diretto di ogni mezzo di informazione compresi i social network. Uno dei motivi più ricorrenti che portano al contagio dal virus dell’Hiv è la disinformazione. A questo occorre aggiungere la riduzione che c’è stata negli ultimi anni delle politiche di prevenzione che ha portato ad innalzarsi il numero di rapporti promiscui e non protetti”.
“Occorre sfatare anche un mito che – aggiunge Mineo – grazie alle nuove cure siamo ormai immuni a tale patologia. Attraverso i nostri corsi di prevenzione nelle scuole abbiamo anche scoperto come il concetto di HIV sia totalmente estraneo ai nostri giovani e si cominci in età sempre più precoce ad avere rapporti sessuali non protetti. Quello che manca totalmente è un’educazione alla sessualità e alle malattie ad essa legate.”
“Altro aspetto importante della nostra ricerca che emerge in tutta la sua drammaticità è che – conclude Mineo – si riscontra un totale abbandono di coloro che hanno contratto la malattia. Persone sole, con gravi complicanze fisiche e finanziariamente in difficoltà, si trovano a dover combattere questa grave malattia senza un sostegno adeguato, in particolar modo a livello psicologico, cadendo spesso in situazioni di depressione.”
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