Cari fratelli e sorelle in Cristo,
questa sera, dal momento che siamo in un clima di famiglia, vorrei farvi subito una domanda: può esserci una festa senza festeggiato? Può essere Natale senza Gesù? Non vi chiedo di rispondermi ad alta voce, ma ognuno sicuramente lo sta già facendo nel suo cuore. Certo, se guardiamo le nostre strade e i negozi addobbati, se accendiamo la televisione e vediamo tutti i programmi natalizi che ogni anno vengono mandati in onda, siamo portati a rispondere di sì. Purtroppo, il grande assente dalla festa di Natale è proprio lui, Gesù. Vedendo tante luci, tanti festoni, tanti addobbi, ho sentito particolarmente pungente quest’anno la domanda: ma la gente sa il perché di tutto questo? Il senso di tutto questo? Il fine di tutto questo? Rischiamo di celebrare il Natale di Gesù dimenticandoci di lui.
Il Signore questa sera, nelle letture che sono state appena proclamate ci invita a riflettere proprio su questo punto. Cosa significa il Natale di Gesù? Sappiamo che Gesù è nato a Betlemme oltre duemila anni fa e questo avvenimento potrebbe essere derubricato come un fatto storico lontano nel tempo. Allora Natale sarebbe semplicemente la commemorazione della nascita di un personaggio importante, ma nulla di più.
Gesù, invece, rinasce ogni giorno, anche oggi nei nostri cuori e lo ha fatto in modo particolare proprio in voi che avete deciso di cambiare vita dopo un periodo drammatico delle vostre esistenze segnato dalle dipendenze. Il Natale non è, dunque, soltanto un evento storico, ma si rinnova sempre in noi perché il Signore vuole farci rinascere con lui a una vita che sia degna di essere vissuta.
La domanda che segue allora è: come vivere il Natale di Gesù? C’è chi crede che basti fare l’albero e il presepe, comprare tanti regali, inviare una marea di messaggini di auguri identici su WhatsApp, magari accompagnati da immagini e video di tema natalizio. Se da un lato è bello ricordarsi di chi ci è accanto e trovare il modo per fargli gli auguri, dall’altro per vivere davvero questo avvenimento centrale della nostra storia dobbiamo mettere in pratica il Vangelo che abbiamo appena ascoltato.
La liturgia, infatti, ci ha fatto ascoltare il Magnificat che Maria pronuncia subito dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo che Dio l’ha scelta come madre del suo figlio. “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. Ecco la parola chiave che l’evangelista Luca pone sulle labbra della Madonna: l’umiltà. Per vivere il Natale di Gesù bisogna essere umili e aprirsi all’altro.
Come fare in una società in cui la diffidenza verso lo straniero aumenta sempre di più? Se ci chiudiamo in noi stessi non potremo mai vivere il Natale di Gesù. Ma questa chiusura a volte, purtroppo, non avviene soltanto all’esterno, ma inizia già tra le mura domestiche. Tra di voi ci sono donne che sono state vittime di violenze indicibili commesse proprio dai vostri ex fidanzati ed ex mariti e portate sulla vostra pelle e nel vostro animo queste immani sofferenze. Siete testimoni di quel Vangelo della sofferenza di cui ci ha parlato con la sua stessa vita San Giovanni Paolo II.
C’è un altro aspetto del Magnificat su cui è bene riflettere a pochi giorni ormai dal Natale. Maria canta la grandezza di Dio che disperde i superbi nei pensieri dei loro cuori, rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di bene gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote.
Il Signore ci indica la strada della carità che non è pietismo. Non è fare l’elemosina distrattamente per non essere più infastiditi da coloro che ce la chiedono per le nostre strade senza “toccare la carne di Cristo”, per usare un’espressione tanto cara a Papa Francesco.
Si tratta, invece, di entrare in una profonda comunione di amore con il nostro prossimo. Maria ci dà un esempio molto bello quando decide di lasciare le sue cose e andare subito, di fretta, dalla cugina Elisabetta, molto più anziana di lei e anch’ella incinta, e stare con lei fino alla nascita di Giovanni il Battista. È proprio per la sua umiltà che Dio pone la Madonna al di sopra di tutta l’umanità.
Dante lo raffigura in modo sublime all’inizio dell’ultimo canto della Divina Commedia, il 33esimo del Paradiso: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura”.
Anche qui al Centro Italiano di Solidarietà possiamo toccare l’opera di Dio attraverso le mani di don Mario Picchi. Alla fine degli anni Sessanta questo sacerdote della diocesi di Roma ha sentito una profonda vocazione nel suo cuore: essere vicino a coloro che erano vittime della droga. Don Picchi è stato un vero e proprio pioniere in questo campo anche per la filosofia innovativa con la quale ha affrontato questo problema drammatico e purtroppo sempre attuale mettendo l’uomo al centro di tutto.
Don Mario si pose una domanda molto importante: la Chiesa deve occuparsi della tossicodipendenza? “Può sorgere – scrive don Mario – la tentazione di chiedersi se sia effettivamente compito della Chiesa cercare di dare risposte in questo campo specifico, ma il forte richiamo del magistero ecclesiastico, delle Conferenze Episcopali, del Sinodo dei vescovi e di tanti Superiori generali dei religiosi, non lasciano alcun dubbio circa l’identità delle vittime della droga: essi sono i nuovi poveri del nostro tempo. E a questi poveri è rivolta la Parola, il gesto, l’Amore di Cristo che sulla strada di Gerico si china sull’uomo per medicarne le ferite”.
Per don Mario, infatti, “la sfida che ci viene dalla droga è un confronto sereno ma implacabile, sulla parola del Vangelo, circa le risposte che sapremo dare per essere autenticamente Chiesa, per conciliare la speranza cristiana con le attese di giustizia e carità del mondo”. Non posso non condividere e fare mie queste parole che sintetizzano bene la posizione della Chiesa, ribadita più volte, anche recentemente, da Papa Francesco, con un chiaro no a ogni tipo di droga.
Cari amici,
voi siete la testimonianza più eloquente di quanto l’intuizione di don Mario Picchi sia stata non solo profetica, ma feconda. Voi siete la sua eredità più preziosa. Voi siete il dono più bello per la Chiesa che vi ama e che vi dice che non siete soli e abbandonati, ma parte di una grande famiglia. Qui avete trovato la grande famiglia del CeIS che vi ha aperto le braccia e vi ha accolto come figli.
Alla vostra desidero aggiungere la mia gratitudine e la mia riconoscenza, insieme a quella di Papa Francesco, per i vostri compagni di viaggio di ieri e di oggi: i tanti operatori e volontari del Centro che vi hanno aiutato a rinascere a vita nuova.
Uno speciale saluto rivolgo al presidente del CeIS, signor Roberto Mineo, e alla vicepresidente, signora Patrizia Saraceno, che ringrazio per quanto fanno per tenere viva questa struttura facendo onore alla memoria e all’insegnamento di don Mario Picchi.
Siete nel mio cuore e nella mia preghiera quotidiana. Siete nel cuore e nella preghiera del Papa che è stato con voi in uno dei “venerdì della misericordia” del Giubileo straordinario e che ha voluto testimoniarvi la vicinanza della Chiesa.
La strada per vincere le dipendenze è lunga e piena di ostacoli. La strada per sconfiggere le violenze è altrettanto difficile. Ma voi siete tante gocce di bene nell’oceano, per usare la bella immagine di Santa Teresa di Calcutta. Abbiamo bisogno di queste gocce di bene. Abbiamo bisogno di queste testimonianze. Non solo a Natale, ma tutti i giorni dell’anno.
Per questo vi incoraggio a proseguire il vostro cammino, ad andare avanti con determinazione nella lotta alle dipendenze. Siete un esempio luminoso mentre assistiamo a un drammatico ritorno, anche qui a Roma, dell’eroina. Non diamoci mai per vinti.
Ci affidiamo a Maria, la donna del Magnificat, perché ci protegga e ci illumini col suo esempio di umiltà e dedizione al prossimo.
A voi, a tutti gli operatori del Centro Italiano di Solidarietà don Mario Picchi e alle vostre famiglie, giungano i miei più cordiali auguri di Buon Natale e di un felice Anno Nuovo.