Intervista a Francisco Mele, successore di Papa Francesco alla cattedra di psicologia: “È un grande stratega. Non sappiamo quali sorprese ci riserverà domani. Dio non sa mai cosa pensa un gesuita”
di LUCIO CARACCIOLO
“Francesco è il primo papa bolivarista della storia. La sua visione geopolitica è quella di Simón Bolívar, il Libertador: unire l’America Latina per farne un soggetto economico autonomo e un attore politico indipendente sulla scena del mondo: la Patria Grande”.
Così parla Francisco Mele, psicoterapeuta, docente in diverse università italiane e latinoamericane, successore di Jorge Mario Bergoglio come professore di psicologia al Collegio universitario del Salvador di Buenos Aires, uno dei centri di formazione della classe dirigente argentina gestito dai gesuiti.
Mele conosce bene Bergoglio, il suo percorso teologico e culturale, le sue passioni e le sue qualità politiche. Di questo e di molto altro parlerà lunedì 26 settembre alle 12, al Festival di Todi, che quest’anno, tornato sotto la guida del suo direttore Silvano Spada, offre non solo teatro e arte di qualità, ma serate di dialogo e approfondimento politico- culturale di grande interesse. A Mele abbiamo chiesto di tratteggiare un profilo geopolitico-teologico di papa Francesco.
Tutti parlano di Francesco come del “papa argentino”. Ma lei suggerisce che il suo orizzonte geopolitico sia molto più vasto: gli Stati Uniti dell’America Latina, l’utopia di Bolívar recentemente reincarnata da Hugo Chávez.
“Questo papa rappresenta la voce dell’America Latina. Non è solo un patriota argentino, forse un peronista. Come ama dire lui stesso, egli parla per tutti i popoli insediati fra Rio Grande e Terra del Fuoco.
Storicamente uniti dalla lingua spagnola e dalla religione cattolica. È l’Ispano-America, che con l’aggiunta del Brasile lusofono diventa America Latina. Non a caso il suo viaggio in Brasile è stato un tale successo: la gente sentiva che quel pastore vestito di bianco era uno dei suoi, un latinoamericano. Altrimenti un argentino non sarebbe mai stato acclamato dai brasiliani, anzi… “.
L’ultimo papa ad avere un progetto geopolitico fu Giovanni Paolo II, che volle e seppe riunificare l’Europa perché tornasse a “respirare con due polmoni”. Anche Francesco ha dunque un progetto?
“Certamente. Il progetto geopolitico cui va la simpatia di papa Francesco è quello di Bolívar, ma anche di Artigas, di San Martín e di tanti altri patrioti latinoamericani: l’unità dell’America del Sud come contrappeso agli Stati Uniti, la superpotenza che rappresenta gli interessi del Nord. Dell’unità latinoamericana Bergoglio ha detto e scritto in varie occasioni. Per esempio, riferendosi al libro del segretario della Pontificia commissione per l’America Latina, Guzmán Carriquiry, sull’America Latina del XXI secolo, pubblicato nel 2011 in relazione al bicentenario delle indipendenze dei paesi latinoamericani. Sull’attualità dell’integrazione latinoamericana si è fral’altro intrattenuta nel 2008 anche la Conferenza episcopale argentina, ispirata dallo stesso vescovo di Buenos Aires. Un altro interlocutore di Bergoglio su questo tema è stato il filosofo e storico uruguagio Alberto Methol Ferré. In un certo senso, i gesuiti hanno già fatto il primo passo verso l’integrazione continentale, quando hanno unificato le loro province di Argentina e di Uruguay”.
Qual è la sostanza sociopolitica e teologica di questo progetto?
“È la teologia del popolo. Essa si intende come superamento della teologia della liberazione, pur non rinnegandola. I teologi della liberazione si ispiravano a un’interpretazione socio-strutturale di taglio marxisteggiante. I teologi del popolo, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa, ai documenti dell’episcopato latinoamericano di Medellín (1968), Puebla (1979) e Aparecida (2007) e a un filone storico-culturale che ha espresso fra gli altri Lucio Gera e Juan Carlos Scannone, non credono nelle classi ma appunto nel popolo. Con una speciale attenzione ai poveri, che in America Latina sono ancora tanti, troppi. Bergoglio vuole una Chiesa “dei poveri per i poveri”, schierata al fianco del popolo sofferente, umiliato, tradito dalle élite ed esposto alle insidie dell’individualismoedonistico-libertario, del capitalismo selvaggio e della globalizzazione imperialista. A lui preme la persona che vive in intima unione con gli elementi primordiali della natura: non dimentichiamo che al tempo deiconquistadores furono i gesuiti a sostenere che anche gli indigeni avevano un’anima. Inoltre, nella teologia di Bergoglio troviamo accenti che gli derivano dallo studio della filosofia di Romano Guardini e dell’opera letteraria di Fëdor Dostoevskij – penso all’avversione per i furbi e i prepotenti. Per il papa vale l’idea per cui la dottrina ci insegna in chi credere, ma il popolo ci insegna come credere. Un’influenza molto importante l’ha avuta il suo e mio maestro, Ismael Quilés, storico della filosofia, il quale aveva aperto l’università dei gesuiti allo studio del buddismo zen, dello yoga, al rispetto delle altre culture e delle diverse religioni. I riferimenti di papa Francesco ai “fratelli musulmani” o il rispetto per i “fratelli padri ebrei” sono frutto anche di quella lezione”.
Bolivarismo e teologia del popolo come ricetta per recuperare l’identità latinoamericana nel segno del cattolicesimo, contro la penetrazione delle sette protestanti?
“Proprio così. Bergoglio come tutta la Chiesa cattolica intende reagire alla diffusione del cristianesimo fai-da-te proposto dalle sette protestanti, che negli anni Ottanta vennero sostenute da ricchi finanziamenti nordamericani anche per combattere la teologia della liberazione, e che oggi hanno conquistato buona parte dei credenti in tutta l’America Latina e oltre. Papa Francesco critica con forza le sette, il new age, le religioni edulcorate, relativiste”.
Questo papa, come lei, ha insegnato psicologia. Materia storicamente ostica per il clero.
“Una volta la Chiesa pensava che la scienza dell’anima fosse la peste dei conventi, perché i sacerdoti che andavano in analisi finivano spesso per lasciare il ministero. Oggi l’aria è diversa. La Chiesa ha riabilitato la psicoanalisi, intesa come terapia della parola. Tra il cristianesimo e la psicoanalisi troviamo dei punti in comune: soprattutto, il valore fondante della parola. La parola ha la forza di rendere le cose schiave o libere. All’inizio era il Verbo, ma alla fine sarà sempre il Verbo. Ormai i seminaristi sono spinti a passare un periodo di analisi per verificare le fondamenta della propria vocazione. D’altronde, se uno perde la fede dopo l’analisi, vuol dire che non l’aveva davvero”.
Qual è il profilo psicologico di Bergoglio come capo della Chiesa?
“Francesco è un grande stratega. Mi ricorda Napoleone. Come l’imperatore stava vicino ai suoi soldati, questo papa ama mescolarsi al suo popolo e ai suoi preti, per incoraggiarli e spingerli verso la missione pastorale. E poi è un papa che pensa e agisce velocemente. Non sappiamo quali sorprese ci riserverà domani. Dio non sa mai cosa pensa un gesuita”.
fonte: rapubblica.it