Roma – Il CeIS, il Centro Italiano di Solidarietà, vide la luce negli anni Settanta per un’intuizione di don Mario Picchi che, insieme a Juan Pares y Plans e ad altri volontari, diede vita alle prime comunità terapeutiche. E, soprattutto, a un nuovo modo di affrontare le dipendenze. Nasceva così, e a poco a poco andava sviluppandosi, un progetto per una nuova cultura della vita, articolato in diversi programmi educativi e terapeutici, la cui filosofia di riferimento è stata chiamata “Progetto Uomo”.
Un’opera, quella messa in piedi da don Mario, che è culminata nel 1985, anno in cui il CeIS venne riconosciuto dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite come Organizzazione non governativa. “Fu una vera e propria rivoluzione -dice il presidente Roberto Mineo che, alla morte di don Mario, avvenuta due anni fa, ha avuto il compito di proseguire le attività. Le due parole, Progetto e Uomo, esprimono l’essenziale: l’impegno a considerare la persona come il centro della storia, una storia aperta al futuro e sempre più umanizzata. La proposta di don Mario, la nostra proposta, vuole essere dunque di interscambio e dialogo, iniziando dalla possibilità di guardare in se stessi, di fermarsi per analizzare l’origine del proprio disagio, per poi comunicarlo e condividerlo con gli altri”.
Un lavoro certosino, svolto con pazienza e grande professionalità, che oggi è punto di riferimento essenziale per la città di Roma. “Il nostro ‘laboratorio’ -afferma il vicepresidente del CeIS, Patrizia Saraceno- è senz’altro il programma San Carlo, che ha origine con la comunità terapeutica aperta, nel 1979, ai Castelli Romani. Da questa esperienza, assolutamente innovativa, si sono sviluppati e continuano a svilupparsi i nuovi programmi del Centro. Un laboratorio in continua evoluzione dove chiunque, può sperimentarsi e contribuire al cambiamento. Questo programma si divide in quattro fasi e si pone come obiettivo la completa autonomia e il reinserimento nella società dell’utente”.
Ma sono varie le aree di intervento in cui il CeIS agisce. Oltre al settore delle dipendenze (droga ma anche abuso di alcool), attivati numerosi progetti per accogliere e trattare giovani con problemi di carattere psico-affettivo e per aiutare famiglie ed anziani in difficoltà. “Il nostro -afferma Mineo- è un antidoto contro la solitudine, la depressione e il pericolo di cadere vittima dell’universo delle dipendenze. Siamo convinti che non basta disintossicare, occorre intervenire con decisione nella prevenzione, offrendo ai nostri utenti modelli positivi. Per questo, abbiamo messo su una sorta di area culturale nella quale trova spazio la lettura ma anche eventi sportivi”.
Prevenzione, dunque. Obiettivo che si pone il progetto Gulliver che, da anni, entra nelle scuole di ogni ordine e grado della Capitale per dare servizi di ricerca e formazione nell’ambito della psico-pedagogia relazionale e della marginalità e devianza minorile. “Abbiamo ottenuto risultati brillanti -conclude Saraceno. Ma mi piace ricordare anche altre due iniziative che abbiamo avviato, i progetti Karibù e Jambo, dove, sempre nelle scuole, stiamo lavorando per l’integrazione multiculturale”.